INTRODUZIONE
Esistono numerosi aspetti controversi relativi al settaggio biomeccanico ciclistico, in particolare la scienza della biomeccanica ha lo scopo di ottimizzare la prestazione evitando l’instaurarsi di patologie e complicanze a carico di muscoli, tendini ed articolazioni.
Bisogna considerare numerosi aspetti relativi a ciò, a partire da complicanze che potrebbero favorire la comparsa di paramorfismi fino ad arrivare all’ insorgenza della patologia, tuttavia valutare solo aspetti legati alla prevenzione comporta il precludere e l’intaccare della performance, ragion per cui durante gli anni si sono susseguiti numerosi studi riguardanti la biomeccanica del ciclismo.
Le ricerche che si sono susseguite negli anni si sono prefissate di valutare aspetti legati al gesto atletico, in termini metabolici e meccanici; le moderne tecnologie hanno dato spazio a diversi design di mezzi, dalla aerodinamica alle corone ovali, fino ad arrivare ai moderni assetti cronometrici.
Le ricerche fino al giorno d’oggi hanno valutato aspetti cinematici utilizzando tecnologie sofisticate, tuttavia ancora oggi esistono non pochi dubbi a riguardo. La ricerca effettuata in questo volume si è prefissata di studiare aspetti relativi alle variazioni di sella orizzontali, mettendo in discussione e analizzando le diverse variabili fisiologiche in termini di efficienza, la stessa efficienza è stata ponderata anche in termini meccanici.
Le valutazioni dello studio tengono conto inoltre di aspetti relativi alle patologie da sovraccarico come il dolore lombare, ed infiammazioni a carico del ginocchio, in termini di condropatie femoro rotulee ed infiammazioni dell’apparato tendineo, infatti, le stesse sono spesso associate a variazioni del settaggio di sella, in termini di altezza arretramento ed avanzamento eccessivo, che comportano traslazioni tridimensionali della spinta, causate da quello che è il modello biomeccanico ciclistico. Essendo il gesto atletico a catena cinetica chiusa, o per meglio dire frenata, ogni variazione tridimensionale altera l’intero sistema, vincolando l’espressione di forza e i baricentri, che in non pochi casi comportano infortuni e riduzione abnorme della prestazione.
CENNI DI BIOMECCANICA APPLICATA
Come definito in precedenza, il modello biomeccanico ciclistico come altri sport viene definito come un gesto a catena cinetica chiusa. Tra questi possiamo citare il canottaggio ma è il ciclismo in particolare che vincola l’atleta rigidamente al mezzo meccanico su due punti fissi, sella e manubrio, ed ad un punto mobile rappresentato dal pedale, che presenta una resistenza al movimento generalmente superiore al 15% del massimale che comporta l’instaurarsi di una catena cinetica frenata.
Ogni punto di contatto sul mezzo comporta la descrizione di angoli di lavoro cinematici, secondo alcune ricerche esiste una relazione tra altezza sella e massima potenza esprimibile in una relazione, dove l’altezza sella e la potenza sono direttamente proporzionali fino ad un “punto limite” dove l’incrementare della stessa altezza comporta cali di potenza (phil burt, bike fit).
Esistono numerose ricerche in merito all’ individuazione di un’altezza di sella ottimale, in particolare gli studi hanno valutato le differenze relative a due grandi metodologie, differenziate in:
- Metodologie di valutazione statica
- Metodologie di valutazione dinamica (cinematica)
Le metodologie statiche prendono in considerazione assetti posturali valutati sul mezzo senza che il ciclista ricrei la situazione di gara, in particolare, secondo alcuni autori, per regolare l’altezza sella dovrebbe essere applicato un angolo femoro-tibiale compreso tra i 25°-35°, valutato con la posizione della pedivella ad ore 6, il tutto per prevenire infortuni a carico del ginocchio.
Sempre in riferimento ai metodi statici alcune fonti letterarie citano misure preimpostate in relazione agli arti inferiori per poter ricavare l’altezza di sella ottimale, queste metodologie si sono mostrate successivamente poco appropriate, in quanto non tengono conto delle lunghezze degli arti, soprattutto del piede. Durante la pedalata sta di fatto che la flesso-estensione plantare produce variazioni del ginocchio e degli angoli di lavoro.
Valutazioni analoghe su metodologie statiche confrontano il movimento pelvico in relazione alla posizione della sella sul piano orizzontale, è di comune utilizzo infatti il posizionare il ginocchio al di sopra del perno pedale, in una proiezione verticale quando la pedivella si trova ad ore 3, garantendo riduzioni di forze di compressione e di taglio a carico del ginocchio.
Attualmente tale metodica statica è stata sostituita con valutazioni di natura dinamica in quello che è definito il metodo K.O.P.S. (knee over pedal spindle), metodica identica alla precedente fatta eccezione quella di proiettare la tuberosità tibiale sul perno del pedale.
Secondo alcuni studi, alterazioni dell’appoggio ischiatico (con conseguente alterazione della posizione del ginocchio) in sella non comporta incrementi di compressioni femoro-rotulee; è importante quindi sottolineare i movimenti pelvici in relazione al gesto atletico, dove il movimento del bacino, e quindi del ginocchio, variano in modo non trascurabile. Infatti a seconda della specialità del tracciato e dalla cadenza di pedalata l’appoggio ischiatico tende a scivolare in avanti o indietro rispetto alla sella, specie in gare a cronometro e nel triathlon.
Notiamo quindi come la valutazione statica della biomeccanica non tiene conto di aspetti importanti come la meccanica muscolare, capacità neuromuscolari e lunghezza delle leve. L’approccio più opportuno risulta essere quello dinamico, favorendo così un giusto assetto. Le variazioni di sella in termini di altezza e posizionamento orizzontale comportano movimenti pelvici in termini di antiversione e retroversione, con conseguente alterazione della lordosi lombare fisiologica. Non raramente ciclisti di tutte le categorie presentano dolori lombari da iperestensione, è quindi opportuno valutare obiettivamente da cosa è causato quest’ultimo.
Posizionamento della sella e dolore lombare cronico
Diverse ricerche hanno valutato come il posizionamento della sella abbia provocato dolore lombare cronico. Secondo uno studio condotto da Brunett, i ciclisti affetti da dolore lombare, presentano un maggior grado di flessione del tronco sul mezzo meccanico rispetto ad un gruppo di controllo asintomatico. È importante anche la valutazione radiografica rispetto al problema, in particolare nei ciclisti affetti da dolore lombare non si sono mai riscontrate alterazioni scheletriche, tuttavia anche se la documentazione scientifica attesta la mancanza di alterazioni ossee, il proseguire temporale di anomalie cinesiologiche a carico della porzione lombare possono provocare deformazione permanete della colonna vertebrale, alterando inoltre apparati muscolo-tendinei.
Valutando la letteratura esistono molte ricerche riguardo al dolore lombare e al ciclismo, tuttavia non esistono studi riguardanti casi di dolore lombare valutati dinamicamente con analisi cinematica. Una ricerca condotta nel 2012 ha valutato aspetti cinematici della cintura lombare relativi a soggetti con dolore nella medesima zona causato dalla pratica del ciclismo. Nello specifico lo studio da campo ha valutato in una prova di 2 ore i range di flessione lombare, valutando come i soggetti affetti da dolore applicano flessioni lombari tra l’80%-89% della propria massima flessione per un tempo superiore 35% di due ore, contrariamente al 5% del tempo impiegato dai soggetti non affetti da dolore (Fig. 1.2). Da questi risultati si evince in particolare
come la posizione vincolata sul mezzo sia la maggiore causa predisponente la patologia.
Applicazioni pratiche a questa problematica comportano che il settaggio del mezzo debba vincolare angoli di lavoro dinamici che siano tra il 50%-59% della massima flessione lombare, per far sì che non si verifichino infiammazioni da overuse, altre applicazioni secondo alcuni autori sono relative al grado di inclinazione anteriore della sella, infatti secondo studi osservazionali l’inclinazione della sella in avanti di 10°-15° favorisce l’allentare delle tensioni lombari in ciclisti affetti da dolore e ne riduce l’infiammazione.
VALUTAZIONE E OSSERVAZIONI RIGUARDANTI L’ELETTROMIOGRAFIA DEI PRINCIPALI MUSCOLI COINVOLTI NELLA PEDALATA
Ogni tipologia di sport ha una propria serie di muscoli responsabili dell’esecuzione del gesto tecnico inerente allo sport praticato, lo scopo di questo paragrafo è quello di revisionare tutte le fonti letterarie riguardanti il ramo dell’elettromiografia (EMG) applicata alla pedalata. Partendo dal gesto specifico sapremo che i muscoli principali coinvolti sono: vasto laterale (VL), vasto mediale (VM), retto del femore (RF), tibiale anteriore (TA) grande gluteo (Gmax), semi-membranoso (SM), bicipite femorale (BF) gastrocnemio(GC) e soleo (SOL).
La particolarità della pedalata è data dall’analisi della tipologia di contrazione utilizzata, di fatti il gesto risulta essere concentrico (per accorciamento dei sarcomeri) e anisotonico (tono muscolare variabile durante il gesto).
Un analisi elettromiografica (EMG) dei muscoli primari della pedalata ha constatato la diversa attivazione muscolare in ogni punto della rivoluzione, infatti a ogni punto di rotazione del pedale corrisponde una tipologia di muscoli interessati. È da premettere che tali raffigurazioni sono del tutto indicative in quando diversi studi hanno dimostrato una variabilità di scariche di potenziali d’azione durante la pedalata, in particolare una sperimentazione svolta su ciclisti professionisti ha mostrato una diversificazione eterogenea dell’attività elettromiografica rispetto ai diversi muscoli della pedalata su un numero vasto di ciclisti testati. La successiva analisi dell’attivazione muscolare verrà quindi illustrata ed esplicata ai fini illustrativi, inoltre per semplificare lo studio ipotizzeremo l’intera rivoluzione come un quadrante di un orologio.
Conoscere una sequenza di attivazione elettromiografica ci consente di poter individuare deficit e carenze e di poter intervenire con programmi di allenamento, o semplicemente ci consente di effettuare interventi mirati in punti ben specifici della pedalata. Secondo alcune ricerche precisi modelli di attivazione muscolare possono alterare l’attività cardiovascolare, ed alterare le risposte endocrine, sia durante che dopo l’esercizio, anche quando la richiesta metabolica rispetto al gesto risulta costante. Tuttavia bisogna precisare che diversi fattori possono influenzare il segnale misurato, conoscere ciò ci consente di essere più obiettivi nelle valutazioni soprattutto per una corretta interpretazione dei risultati.
I principali fattori fisiologici che influenzano l’EMG di superficie sono:
- le proprietà della fibra di membrana nervosa (ad esempio, influenza la velocità di conduzione delle fibre muscolari) e
- le proprietà di blocco neuromuscolare.
Altri fattori considerati non fisiologici possono anche influenzare il segnale, come:
- il cross talk muscolare (o semplicemente contaminazione da attività elettrica del muscolo adiacente) e
- gli artefatti di movimento (indotte dai movimenti degli elettrodi e / o cavi).
Esistono numerosi aspetti relativi alla misurazione dei dati e al campionamento, nello specifico diversi autori hanno utilizzato due metodiche differenti di campionamento a seconda del Design sperimentale, generalmente la totalità degli studi ha utilizzato quantificare l EMG tramite valore quadratico medio o valori integrati, precisando che il valore quadratico medio risulta essere una misura più appropriata e precisa.
L’analisi EMG viene sempre effettuata per valutare il picco di attivazione muscolare e/o la sua durata. Le ricerche letterarie hanno evidenziato che il primo studio di EMG della pedalata risale al 1959, questa ricerca evidenzia l’analisi di ben 14 muscoli degli arti inferiori ad eccezione del soleo.
Lo studio effettuato presenta un grosso limite relativo al numero di soggetti testati (solo 3). In tutti gli studi presenti in letteratura sono stati campionati diversi muscoli tra i quali il Gluteus maximus (GMax), Rectus femoris (RF), Vatsus lateralis (VL) Vastus medialis (VM), Semimenbranosus (SM), Semitendinosus (ST), Biceps femoris (BF, capo lungo), Gastrocnemius lateralis (GL) e Gastrocnemius medialis (GM), tibiale anteriore (TA), e Soleus (SOL) illustrato in ( Fig 2.1-2.2).
Una ricerca condotta da Ericson (1986) ha mostrato che un carico di lavoro di 120 W (corrispondente a circa il 54% della potenza massima aerobica) induce un livello di attività EMG del 45%, 44% e 32% del IMVC (percentuale rispetto un una contrazione massimale isometrica volontaria), rispettivamente dei muscoli VM, VL e SOL (tre muscoli mono-articolari). L’ analisi EMG dei muscoli RF e GMax hanno avuto come risultati rispettivi il 22% e 18% dei valori IMVC.
Le ricerche presenti hanno ben descritto la sequenza precisa di attivazione elettromiografica, in relazione alla posizione della pedivella, dove alcuni studi utilizzano una schematizzazione ad orologio, altri invece a gradi angolari. Lo scopo principale di un’analisi EMG è quella di valutare l’onset e l’offset del gruppo muscolare, o semplicemente l’inizio e la fine dell’attivazione, nel ciclismo tutto ciò viene intercalato in quelle che sono le posizioni della pedivella, in particolare definendo il TDC (top dead centre) o semplicemente punto morto inferiore, in biomeccanica tale punto esplica quello che è l’impossibilità di creare un momento di forza. Viene inoltre definito il BDC (bottom dead centre) o punto morto inferiore, che in modo analogo al TDC implica assenza di momento, ma contrariamente allo stesso lo ritroviamo quando la posizione della pedivella raggiunge i 180°.
Un’ attenta analisi della letteratura ci permette di definire con precisione la sequenza di attivazione riassunta precedentemente nella (Fig. 2.1). Il GMax è attivo dal TDC a circa 130 °, ovvero nella fase attiva di spinta del pedale (25-160 °). Il vasto laterale e mediale (VL e VM) sono attivati da poco prima del TDC a poco dopo i 90 ° della pedivella, notiamo inoltre che l’inizio dell’attività per il retto femorale (RF) sia di gran lunga antecedente rispetto a VM e VL, probabilmente a causa della bi-articolarità del retto, che di fatti si attiva a circa 270 °, è da notare che la sua attività termina dopo 90 ° di attivazione. La regione di attività del TA è nella seconda metà della fase di trazione fino a poco oltre il TDC, le attività del Gastrocnemio (GL e / o GM, a seconda dello studio) inizia subito dopo la cessazione dell’attività del TA (a circa 30 °) e termina appena prima l’inizio dell’attività del TA (a circa 270 °), tutto ciò è riassunto nella (Fig. 2.3), Il SOL viene attivato durante la fase di discesa da 45 ° a 135 °. Analizzando i risultati relativi ai muscoli del gruppo dei flessori tra cui BF, SM e ST sono più controverse, e la letteratura a riguardo è discordante, alcuni autori hanno dimostrato una regione di attivazione che inizia subito dopo il TDC fino al BDC, mentre altri hanno mostrato una regione di attivazione più ampia da circa il TDC a circa 270 ° .
In altre ricerche si evincono risultati controversi rispetto a due modelli di attivazione a favore del gruppo muscolare del TA, GL e SOL . Infatti, in alcuni soggetti si sono osservati due distinti modelli di attivazione. Queste differenze possono essere correlati a:
- Variabilità dei modelli di attivazione rispetto ai soggetti
- Differente posizionamento rispetto all’ interfaccia scarpa pedale, che comportano vantaggio/svantaggio della leva del piede, a favore o sfavore del GL, SOL, TA.
Esistono tuttavia alcuni limiti nelle analisi di questi dati, infatti non ci sono in letteratura analisi relative ai gruppi muscolari profondi che agiscono sulla pedalata, come l’ileopsoas e il tibiale posteriore, alcune ricerche hanno valutato L’EMG di profondità di questi ultimi, tuttavia essendo una pratica invasiva e poco precisa gli stessi risultati quindi devono essere interpretati con dovuta attenzione.
L’ importanza del valutare questi gruppi muscolari è data dalla loro implicazione in termini di efficienza ottimale della pedalata, secondo uno studio condotto da Hansen nel 2012 un protocollo di allenamento di resistenza combinato ad un allenamento di forza a secco implementa l’efficienza di pedalata, proprio a causa di una sollecitazione a carico dell’ileopsoas, altrimenti scarsamente attivato durante l’allenamento. Secondo le teorie di Hansen l’incremento dell’efficienza è dovuto ad una riduzione della fase di trazione, che apporta minore carico alla pedivella opposta che si trova in fase ti spinta, altri autori hanno affermato che l’ileopsoas sia un muscolo importante per una maggiore efficienza di pedalata, tuttavia essendo lo stesso inattaccabile con EMG di superficie non esistono prove concrete, di conseguenza non si può confermare che l’ipotesi sia un dato di fatto.
È bene anche valutare le variabili che influiscono sull’ obiettività dell’EMG di pedalata, tra i diversi citiamo la differenza comportamentale tra i gruppi muscolari mono-articolari e bi-articolari, secondo (Ryan 1992) il gruppo mono-articolare (GMax, VL, VM, TA, e SOL) svolgono un ruolo relativamente invariante nel produrre energia primaria nella pedalata. Al contrario, i muscoli bi-articolari (BF, ST, SM, RF, GM, e GL) si comportano in modo diverso e presentano maggiore variabilità, secondo alcuni autori, questo fenomeno è da attribuire all’ accoppiamento agonisti (mono-articolari), antagonisti (bi-articolari) questi ultimi favorirebbero la traslazione della forza secondo la direzione del pedale, favorendo efficacia del gesto.
Esistono anche variabili che riconducono alla scelta della potenza applicata, infatti all’aumentare della potenza applicata (per essere precisi della forza) aumenta il reclutamento delle unità motorie, secondo quella che è la legge di Henneman. Tuttavia non essendoci applicazioni pratiche e non essendoci parallelismi con l’EMG applicata alla pedalata, ci limitiamo a considerare l’ipotesi che all’ incrementare della potenza meccanica vari quella che è l’attivazione muscolare, anche se Farina ha dimostrato come all’ incrementare del carico aumenti il reclutamento delle unità motorie. Pochi studi hanno valutato come le diverse applicazioni di potenza influenzino l’attivazione muscolare, sembrerebbe comunque che l’intensità di esercizio non influenzi di molto l’attivazione EMG tuttavia dovrebbero essere fatte altre ricerche per confermare questa teoria.
Un aspetto di notevole importanza lo ricopre la velocità di pedalata, altrimenti classificata come RPM (rivoluzioni per minuto). Alcuni autori hanno provato a valutare come le diverse frequenze di pedalata a potenze costanti influiscano sull’ attivazione dei gruppi muscolari precedentemente citati.
Le varie ricerche hanno valutato come a potenze costanti varia il reclutamento motorio, alcuni risultati riportano come a 250 Watt l’aumentare delle RPM (da 40 a 120) apporti una maggiore attivazione di GM, BF, SM e VM.
È curioso invece come lo studio riporti che il Soleus (SOL) e il Gluteus Maximus (GMax) abbiano mostrato un decremento di attivazione a 90 RPM, e come il TA e RF non abbiano subito modifiche, altre ricerche hanno mostrato come il RF abbia incrementato il segnale EMG a 60 RPM, e come il VL non abbia variato la sua attivazione.
Conclusioni
Esistono diverse spiegazioni a queste osservazioni, sicuramente esiste una variabilità intra soggetto che comporta diversi modelli di attivazione muscolare, inoltre la posizione del tronco, della sella e la lunghezza delle pedivelle influenzano l’attività EMG.
Inoltre bisogna considerare che a basse cadenze di pedalata, come è stato osservato, il reclutamento muscolare non può essere elevato, a seconda della velocità di pedalata le fasi di spinta e di trazione subiscono cambiamenti meccanici, il che spiega come a diverse potenze ed RPM la i muscoli coinvolti in queste due fasi cambiano la loro sequenza in modo apparentemente indipendente, tuttavia per essere concreti bisogna avere in analisi più ricerche, in quanto i dati non sono sufficienti per poter essere obiettivi riguardo alla frequenza di pedalata.
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