Nel calcio di oggi, in cui gli impegni ufficiali sono ravvicinati e l’intensità di gara e di allenamento è nettamente aumentata, la prevenzione degli infortuni nel calcio è un tema di fondamentale importanza. Infatti, secondo i risultati di uno studio (Hagglund M. et al. del 2013), in cui sono state seguite per 11 anni 24 squadre di calcio d’èlite partecipanti alla Uefa Champions League, una bassa incidenza di infortuni è correlata a una maggiore possibilità di successo, come si evince dalle classifiche finali delle squadre monitorate.
Nei club d’èlite, l’assenza per un mese di un giocatore produce un costo medio stimato di 500.000 euro (Ekstrand, 2013), senza considerare le perdite economiche potenziali per la mancanza di impiego di top player (sponsor, pubblicità, incassi, ecc.). Negli ultimi anni, si nota una crescita dell’incidenza degli infortuni (soprattutto muscolari) nel calcio professionistico, come nel caso delle lesioni agli hamstring, per i quali si registra un aumento annuale di circa il 4% dal 2001 agli ultimi anni (Ekstrand, 2016). Da queste prime considerazioni si evince come sia importante elaborare e implementare un’adeguata strategia di prevenzione degli infortuni, come dimostrato anche dal crescete numero di pubblicazioni scientifiche sul tema negli ultimi anni.
Epidemiologia
L’epidemiologia è lo studio della frequenza, distribuzione e dei determinanti, in una specifica popolazione (nel nostro caso lo sport e nello specifico il calcio), dello stato di salute e malattia (nel nostro caso parliamo di infortuni).
Gli studi e le analisi epidemiologiche sono la base per poter strutturare un programma per la prevenzione primaria e secondaria degli infortuni, infatti la localizzazione e il tipo di lesione differiscono tra livello competitivo, età, sesso e tipo di esposizione (match o allenamento).
L’incidenza degli infortuni è più alta negli uomini rispetto alle donne, nelle gare ufficiali rispetto agli allenamenti in tutte le categorie (Junge A., 2015; López-Valenciano A, 2020). Inoltre, i bambini di età inferiore ai 12 anni hanno un tasso d’infortunio minore rispetto ai calciatori più grandi (Watson A, 2019). L’incidenza degli infortuni si valuta generalmente con il numero di traumi ogni 1000 ore di esposizione a un evento (gara, allenamento o entrambi) e nella seguente tabella riportiamo questi dati riferendoci al calcio maschile professionistico, oggetto principale di questa trattazione.
Tipo di esposizione | Calciatori adulti professionisti |
Gara | 9.5–48.7 injuries/1000 h |
Allenamento | 3.7–11.4 injuries/1000 h |
Totale (gara + allenamento) |
2.0–19.4 injuries/1000 h |
Fattori di rischio e di protezione
Recentemente è stata pubblicata un’umbrella review (per capirci, un riassunto delle revisioni della letteratura scientifica per un determinato argomento) su Sport Medicine – Open (Owoeye et al., 2020) sulla prevenzione degli infortuni nel calcio. Gli autori descrivono i tassi di infortunio, le caratteristiche, i fattori di rischio e di protezione, gli interventi di prevenzione e l’implementazione degli stessi. Inoltre, hanno analizzato e suddiviso i fattori di rischio in modificabili e non modificabili, quindi in quelli su cui si può agire attraverso differenti interventi e quelli che sono intrinsecamente determinati e quindi non influenzabili.
I principali fattori di rischio non modificabili sono:
- Età: non vi sono sufficienti evidenze che dimostrano che l’aumento dell’età dell’atleta sia un fattore di rischio per gli infortuni. Vi è solo una review che suggerisce un aumento del rischio degli infortuni agli hamstring all’aumentare dell’età (Hughes T. et al., 2017). Quindi, al contrario di quanto si crede, non vi sono forti prove scientifiche a supporto della convinzione che il calciatore più avanti con gli anni sia più predisposto agli infortuni. Si potrebbe però speculare, che spesso questo accade perchè l’atleta, data la lunga militanza sportiva, possa aver avuto precedenti traumi lesivi che lo espongono maggiormente al rischio di infortunio e che i microtraumi ripetuti di anni di attività, possano rendere i tessuti più suscettibili. In ogni caso, queste ultime considerazioni avrebbero bisogno di un ulteriore approfondimento scientifico.
- Genetica: ci potrebbe essere un’influenza della genetica sulla predisposizione agli infortuni ma allo status quo l’unica associazione dimostrata è tra la predisposizione familiare agli infortuni al legamento crociato anteriore (LCA) e l’aumento del rischio dello stesso e di altri infortuni al ginocchio (Volpi P. et al., 2016; Hägglund M, 2016). Però, nella pratica quotidiana vediamo spesso calciatori più predisposti ad infortuni muscolari rispetto ad altri, il che potrebbe derivare da diversi fattori predisponenti alle lesioni ma bisognerebbe nei prossimi anni indagare a fondo l’esistenza di un’eventuale relazione con la genetica del soggetto.
- Sesso: l’incidenza degli infortuni è più alta nei maschi rispetto alle femmine (Junge A. et al., 2015; Pfirrmann D. et al., 2016).
- Precedenti infortuni: su questo aspetto le evidenze scientifiche sono forti e dimostrano che precedenti infortuni sono un fattore di rischio per futuri infortuni. Inoltre, uno specifico infortunio aumenta la possibilità di un nuovo infortunio dello stesso tipo, ad esempio agli hamstring (Hughes T et al., 2017; Van Beijsterveldt A.M.C. et al., 2013).
- Tipologia di evento: come già detto sopra, l’incidenza degli infortuni in gara è maggiore rispetto all’allenamento, sia per gli uomini sia per le donne (Emery C.A. et al., 2005; Volpi P. et al. 2016).
I principali fattori di rischio modificabili sono:
- Carico: una gestione ottimale del carico, evitando situazioni di under-training (sotto- allenamento) e overreaching non-funzionale (sovrallenamento non funzionale) è un sicuramente un fattore protettivo nei confronti degli infortuni e nella massimizzazione della performance. Uno degli aspetti più importanti nel training load managment è evitare gli spike, cioè i picchi improvvisi di carico, rispettando uno dei principi cardine della metodologia dell’allenamento: la gradualità del carico. Negli ultimi anni si è diffuso l’uso dell’ACWR, cioè il rapporto carico acuto/cronico, in cui il carico acuto è il carico settimanale e quello cronico il carico degli ultimi 28 giorni, supponendo che un valore tra 0,85 e 1,35 sia ottimale per ridurre il rischio d’infortunio (“Sweet Spot”). Questo modello di predizione degli infortuni introdotto da T. Gabbett è risultato essere di scarso valore predittivo e con molti artefatti statistici (Impellizzeri FM et al., 2020) e quindi se ne sconsiglia l’utilizzo. Infatti, è necessario sottolineare che quando si comunica con gli atleti e gli allenatori bisogna essere chiari, coerenti e credibili e si potrebbero verificare situazioni che tolgono credibilità. Ovvero, potrebbe succedere che si suggerisce di far riposare un calciatore perché ha una maggiore probabilità d’infortunio ma gioca lo stesso e non si fa male mentre un altro (magari ritenuto poco suscettibile agli infortuni in quel momento) si fa male, creando confusione e dubbi sulle capacità e competenze del preparatore, che ha basato queste previsioni su questo modello o altri simili non validati.
- Fattori neuromuscolari: diversi fattori neuromuscolari possono essere un fattore di rischio per gli infortuni, i più importanti sono:
• Un alterato rapporto di forza tra hamstring e quadricipiti;
• Una bassa forza eccentrica degli hamstring;
• Asimmetria di forza eccentrica tra gli hamstring dei due arti;
• Asimmetria di lunghezza tra gli arti (mentre sull’asimmetria di forza tra gli arti la letteratura risulta inconcludente);
• Inadeguata capacità di atterraggio al suolo (maggiore rischio di lesione al legamento crociato anteriore);
• Alterata attivazione muscolare durante i movimenti di cutting e di atterraggio;
• Deficit di stabilità dinamica.
La prevenzione in campo
Partendo sempre dalla letteratura scientifica, per fornire qualche consiglio evidence-based, una recente review sistematica (Fanchini M. et al., 2020) ha evidenziato che le strategie di prevenzione delle lesioni muscolari basate sugli esercizi fisici non hanno forte evidenza a supporto nei calciatori d’èlite. In particolare, considerando la gerarchia delle evidenze CEBM (5 livelli, decrescenti in qualità), che stabilisce la forza, la qualità, la validità e l’applicabilità di uno studio, gli autori hanno tratto le seguenti considerazioni:
- Secondo le evidenze di primo livello, non vi sono forti prove scientifiche a supporto della credenza che determinati esercizi possano determinare un’azione preventiva per gli infortuni muscolari;
- Studi di secondo livello di evidenza, indicano come gli esercizi eccentrici possano avere un ruolo nella prevenzione degli infortuni muscolari. Però, l’alto rischio di bias (errori sistematici) ne mettono in dubbio la reale efficacia;
- Studi di terzo e quarto livello di evidenza, indicano come esercizi eccentrici, esercizi propriocettivi e altre stretegie multidimensionali possano essere utili per la prevenzione. Essendo i livelli di evidenza più bassi, la qualità degli studi è bassa e il rischio di bias alto, quindi anche in questo caso l’efficacia è dubbia da un punto di vista scientifico.
Considerando quanto detto, come possiamo elaborare un programma d’allenamento per la prevenzione degli infortuni, con principale riferimento a quelli muscolari?
Prendendo decisioni e stilando un programma in base alla propria esperienza, alle esigenze contestuali e tenendo presente l’opinione degli esperti (livello 5 di evidenza) e la best-practice (esperienza che ha permesso di ottenere risultati eccellenti in un determinato ambito). A tal scopo, è interessante citare uno studio che riporta un sondaggio che ha coinvolto 18 team d’èlite partecipanti alla Uefa Champions League dei 5 più grandi campionati europei. Questo sondaggio ha riportato l’opinione dei responsabili dell’area performance dei club coinvolti, sulle strategie basate sull’esercizio percepite più efficaci per la prevenzione delle lesioni muscolari. Attraverso una tecnica (metodo Delphi) usata per ottenere risposte ad un problema da un gruppo (panel) di esperti indipendenti, attraverso due o tre round, cercando il consenso su determinate questioni, il gruppo di esperti ha trovato consenso sui seguenti punti:
- Sprint e corsa ad alta velocità sono ritenuti molto efficaci;
- Gli esercizi eccentrici sono ritenuti efficaci;
- Pliometria orizzontale e verticale, esercizi isometrici, esercizi concentrici, core- stability, flessiblità statica e dinamica sono ritenuti piuttosto efficaci.
Su altre tipologie di esercizio non è stato raggiunto il consenso, seppur qualcuno le ha considerate valide nel sondaggio.
Da quanto detto gli spunti operativi potrebbero essere i seguenti:
- Implementare nelle esercitazioni (sia generali sia con la palla) sprint e corsa ad alta velocità. Ad esempio, per aumentare la corsa ad alta velocità possono essere proposte esercitazione su spazi più grandi (consigliato nel giorno MD-3, 72h prima del match successivo).
- Implementare esercizi eccentrici nel lavoro di forza (consigliato nel giorno MD+3, 72h dopo il match precedente). Vedi alcune semplici proposte sotto.
- Inserire esercizi di core training nel warm-up;
- Eseguire esercizi neuromuscolari nel warm-up, in modo da permettere agli atleti di svolgere qualche esercizio di forza a basso volume e bassa intensità in più giorni della settimana;
- L’allenamento della forza dovrebbe prevedere esercizi sia monopodalici sia bipodalici, esercizi con vettore di forza sia orizzontale sia verticale e lavorare in tutti i regimi contrazione;
- Inserire esercizi di stretching dinamico e di balance nel warm-up (per quest’ultimi potrebbe essere utile svolgerli anche in condizione di stanchezza post-training);
- Allenare la flessibilità muscolare mediante esercizi di stretching statico (preferibilmente nel post-training o in una seduta specificamente dedicata).