Sviluppata nei primi anni 2000, l’optogenetica – l’uso combinato di metodi genetici e ottici (leggeri) per controllare geni e neuroni – è tra le tecnologie più rapidamente avanzate nelle neuroscienze e ha il potenziale per rivoluzionare il modo in cui gli scienziati studiano il cervello.
Cos’è l’optogenetica
L’optogenetca è metodo sperimentale nella ricerca biologica che coinvolge la combinazione di ottica e genetica in tecnologie che sono progettate per controllare (mediante l’eccitazione o l’inibizione) eventi ben definiti nelle cellule del tessuto animale vivente.
A differenza dei metodi sperimentali precedentemente sviluppati per il controllo della luce, l’optogenetica consente ai ricercatori di utilizzare la luce per accendere o spegnere le cellule con notevole precisione e risoluzione (fino a singole cellule o persino regioni di cellule) in animali viventi e in movimento. Di conseguenza, può essere usata non solo per controllare comportamenti specifici negli animali, come innescare o bloccare la paura o il dolore, ma anche per dedurre in tal modo i contributi delle singole cellule a quei comportamenti.
Fin dagli anni ’70 molti laboratori hanno identificato varie proteine trans-membrana dette opsine, che reagiscono alla luce (ciascuna ad una differente frequenza) aprendosi e permettendo il passaggio selettivo di ioni carichi attraverso di esse. Nei tardi anni ’90 in alcuni laboratori vennero svolte le prime ricerche per sfruttare queste proteine nel controllo dei neuroni, in un modo molto elegante. Fornire a quelli che si vogliono studiare, e solo a quelli, delle opsine che, attivate da una luce, reagiranno aprendosi e portando all’eccitazione od alla inibizione della cellula.
Nonostante la cosa fosse concettualmente semplice, è solo nel 2005 che l’equipe di K. Deisseroth, MIT, riesce a pubblicare un articolo rivoluzionario: integrando una di queste opsine, chiamata Channelrhododopsina-2 (ChR2), a quelle normalmente presenti in una cultura di cellule cerebrali murine, i ricercatori erano in grado di attivare i neuroni con una precisione temporale del’ ordine dei millisecondi accendendo un laser.
Ora l’optogenetica è diventata una tecnica relativamente diffusa ed applicata su numerose specie, dai vermi ai primati non umani.
Il suo impiego può servire a confermare ipotesi o conoscenze precedentemente acquisite in altro modo. Chiarire il funzionamento di alcuni fenomeni, distinguere l’influenza dei vari neuroni sul comportamento della cavia dal vivo o per manipolare la mente.
È una tecnica che “consentirà in un prossimo futuro di trattare in modo efficace molte patologie del cervello”, almeno così promettono i ricercatori.
Con impulsi di luce a tempo preciso mirati a regioni o cellule tissutali mirate, l’optogenetica consente ai ricercatori di attivare o bloccare eventi in specifiche cellule di animali viventi. In un topo con una zampa resa ipersensibile al tatto. Ad esempio, la risposta al dolore può essere eliminata facendo brillare la luce gialla sulla zampa colpita, le cellule in cui sono state mirate ad esprimere un tipo di proteina microbica sensibile alla luce nota come opsina.
L’optogenetica sull’uomo
La prima sperimentazione umana che ha coinvolto l’optogenetica è iniziata nel 2016. E’ stata progettata per esplorare il potenziale uso della tecnologia per il trattamento di pazienti affetti da retinite pigmentosa ereditaria.
La progressiva degenerazione della retina, il segno distintivo della malattia, causa gravi problemi alla vista. Si prevedeva che almeno 15 pazienti che erano ciechi o per lo più ciechi partecipassero allo studio. Ciascuno di loro avrebbe ricevuto un’iniezione di virus che trasportava geni codificanti l’opsina mirati specificamente alle cellule gangliari retiniche (RGC). Uno dei principali obiettivi del test era stabilire la sensibilità alla luce negli RGC. Di solito non sono influenzati dalla retinite pigmentosa e normalmente trasmettono informazioni visive dai fotorecettori nell’occhio al cervello. In presenza di luce blu, gli RGC che esprimevano l’opsina avrebbero iniziato a inviare segnali visivi al cervello.
L’optogenetica sembra aprire immensi orizzonti ai ricercatori, che già oggi possono modulare l’attività nervosa. Attraverso la stimolazione con fibre ottiche di proteine fotosensibili chiamate opsine prodotte ad hoc all’interno dei neuroni. Ma “con la luce è anche possibile comandare l’accensione o lo spegnimento dei geni. In una forma raffinata di epigenetica che potremmo definire artificiale che ci darà la possibilità di attivare i geni benefici e disattivare i geni pericolosi a nostro piacimento”
Sebbene la misura in cui il trattamento optogenetico migliorasse la visione era incerta, i risultati dello studio erano molto attesi. Altre terapie optogenetiche sono in fase di sviluppo per una vasta gamma di malattie, tra cui il dolore cronico e la malattia di Parkinson.
Applicazioni dell’optogenetica
I metodi optogenetici sono stati applicati a una vasta gamma di domande nel comportamento e nella fisiologia. Fornendo informazioni su movimento, apprendimento, memoria, metabolismo, fame, sete, respirazione, sonno, pressione sanguigna, motivazione, paura e elaborazione sensoriale.
Sono state fatte scoperte clinicamente ispirate, contribuendo a far luce sulle attività cellulari associate a condizioni. Come l’epilessia, il morbo di Parkinson, la malattia di Huntington, l’ ictus, il dolore cronico. Il disturbo ossessivo-compulsivo, la tossicodipendenza, la depressione, la disfunzione sociale e l’ ansia.
Ad esempio, l’optogenetica ha permesso di determinare quali cellule e connessioni attraverso il cervello erano importanti nel definire e assemblare le diverse caratteristiche dell’ansia. Comprese le variazioni della frequenza respiratoria e l’evitamento del rischio, in uno stato comportamentale distinto.