La prima domanda da porsi quando si ha il sospetto di una sindrome da sovrallenamento (OTS) è sicuramente quella di sapere se nell’ultimo periodo l’atleta è stato sottoposto o meno ad allenamenti di volume e/o intensità superiori ai suoi standard o se si sono presentati nella sua vita altri fattori stressanti come disturbi del sonno, problemi personali, problemi di salute, etc.
Studi recenti hanno indagato la possibilità che, in presenza di un quadro clinico ed anamnestico riconducibile alla sindrome da sovrallenamento, al fine di avvallare ulteriormente l’ipotesi diagnostica, si possa ricorrere al dosaggio di specifici marcatori biochimici ed ormonali.
Marcatori biochimici
Nel corso di un allenamento fisico protratto l’organismo va incontro ad una deplezione delle scorte di glicogeno associata ad una ridotta espressione dei trasportatori del glucosio a livello muscolare ed epatico ma nonostante questo processo rappresenti uno dei verosimili fattori di innesco della sindrome da sovrallenamento, si è notato come i valori di glicogeno muscolare e di glicemia degli atleti valutati risultino spesso ugualmente nella norma. Tuttavia il rapporto glicemia/insulinemia può essere indicativo di una lieve insulino-resistenza.
Per quanto riguarda invece i valori ematici di lattato, essi dipendono dallo stato di allenamento in cui versa l’individuo al momento del prelievo ematico. In corso di sindrome da sovrallenamento si registra una riduzione della concentrazione massimale del lattato mentre i valori sub-massimali rimangono invariati o solo leggermente ridotti.
Il riscontro di elevati livelli circolanti di creatinchinasi (CK) e/o di urea, può essere indice di un marcato stress muscolare e/o metabolico, ma questo dato non potrà mai essere sufficiente per considerarsi diagnostico di un sovrallenamento.
Allo stesso modo la concentrazione plasmatica di glutammina tende a ridursi notevolmente in risposta ad un elevato carico di lavoro muscolare, ma il riscontro di bassi livelli di glutammina non rappresenta una costante nell’OTS.
A sostegno dell’ipotesi, invece, che alla patogenesi dell’OTS contribuisca anche una compromissione del sistema immunitario, ha contribuito l’ osservazione , di come in soggetti sovra-allenati sia presente una riduzione del numero di neutrofili e un incremento dei linfociti.
In conclusione si può sostenere che la maggior parte dei parametri ematochimici che vengono valutati negli atleti (indici infiammatori, CK, urea, creatinina, enzimi epatici, glucosio, ferritina, etc) non consentono di individuare la presenza di una sindrome da sovrallenamento a causa di una ridotta sensibilità, ma sono certamente utili per avere informazioni sulla condizione fisica dell’atleta per dare un contributo all’esecuzione della diagnosi differenziale con altre patologie organiche.
Marcatori ormonali
Il sistema endocrino riveste un ruolo essenziale nella risposta dell’organismo a stress fisici acuti o cronici; pertanto è verosimile che alterazioni dei principali assi endocrini abbiano un ruolo nella patogenesi della sindrome da sovrallenamento.
Partendo da tale presupposto, nel corso degli anni, è stato ipotizzato che il dosaggio ematico di alcune sostanze ormonali potesse contribuire al riconoscimento e alla diagnosi dell’OTS.
In relazione ai cambiamenti ormonali, l’incremento dei livelli di testosterone negli atleti sani praticanti sport di forza e resistenza può essere considerato un fattore che contribuisce all’ottimale sviluppo della massa muscolare, consentendo un miglioramento della performance fisica e in generale della condizione psico-fisica dell’atleta. Al contrario, nella sindrome da sovrallenamento si assiste ad una riduzione dei valori di testosterone che a sua volta contribuisce all’istaurarsi del quadro caratterizzato da perdita di massa muscolare e riduzione del metabolismo basale e dell’ossidazione lipidica.
In questo caso, i bassi valori di testosterone non sembrano attribuibili ad una ridotta stimolazione centrale da parte delle gonadotropine, è plausibile ipotizzare che la riduzione della concentrazione di testosterone sia dovuta ad una maggiore espressione dell’enzima aromatasi e quindi ad una maggiore trasformazione del testosterone in estradiolo.
A supporto di tale ipotesi, recenti studi hanno dimostrato che nel corso di OTS si assiste ad un aumento dei livelli di estradiolo che, associato ad una riduzione delle concentrazioni di testosterone, determina una riduzione del rapporto testosterone-estradiolo. Sulla base di tali elementi si può dedurre come un basso rapporto testosterone-estradiolo rifletta la presenza di uno stato anti-anabolico.
In passato anche il rapporto fra i valori plasmatici di testosterone e cortisolo, misurati post-esercizio, era considerato un indicatore affidabile dello stato di sovrallenamento; ad oggi, tuttavia, è noto che tale rapporto si riduce in relazione all’intensità e alla durata dell’allenamento e pertanto esso indica solo lo stato di affaticamento dell’atleta al momento della valutazione e non rappresenta un parametro utile per la diagnosi di OTS.
In letteratura è inoltre riportato che i valori di cortisolo plasmatico del mattino e la concentrazione di cortisolo libero urinario delle 24h, valutati in atleti precedentemente sottoposti ad allenamenti di resistenza, sono sovrapponibili a quelli di soggetti sedentari; pertanto tali parametri non forniscono alcuna informazione utile relativa allo stato di sovrallenamento.
Nonostante sia assodato che un’alterazione del sistema nervoso autonomico caratterizzi la sindrome da sovrallenamento, ad oggi, non esiste alcun consenso riguardo all’utilizzo dei livelli di catecolamine plasmatiche e/o urinarie delle 24 h come parametro per valutare la presenza di tale condizione, dovuto sicuramente all’estrema variabilità interindividuale nell’attivazione del sistema nervoso.
Nello specifico, esercizi anaerobici determinano una prevalente attivazione del sistema parasimpatico con ridotta secrezione di catecolamine; al contrario esercizi di tipo aerobico inducono una massiva stimolazione del tono simpatico e un marcato incremento di adrenalina e noradrenalina plasmatiche ed urinarie. In considerazione di ciò, non è appropriato utilizzare tali parametri per la valutazione dello stato di allenamento in cui versa l’organismo.
Nella sindrome da sovrallenamento è stata inoltre evidenziata una riduzione intra-individuale del picco massimo della concentrazione dell’ACTH, del GH, del cortisolo e dell’insulina dopo un test da sforzo esaustivo standardizzato eseguito con un’intensità del 10% al di sopra della soglia anaerobica individuale.
Altri ormoni quali leptina, adiponectina e grelina e citochine come IL-6 e il TNF-alfa sono stati recentemente valutati come possibili parametri per monitorare lo stato di allenamento dell’organismo. Gli studi presenti in letteratura, concludono che, nonostante alcuni di questi parametri misurati a digiuno o post-esercizio possano fornire informazioni riguardo ai meccanismi di regolazione energetica e possano modificarsi in base alla condizione di affaticamento o di inadeguato recupero, non ci sono dati solidi che consentano di impiegare questi marcatori per prevenire o individuare una condizione di sovrallenamento.
A fronte di tali riscontri si può quindi dedurre che i principali limiti all’utilizzo dei dosaggi ormonali per l’individuazione della sindrome da sovrallenamento sono legati principalmente alla variabilità intra ed interindividuale delle concentrazioni ormonali, alla presenza di una secrezione pulsatile di alcuni di questi e alla differente risposta degli assi ormonali ai diversi tipi di allenamento.
IGFBP-3
L’esercizio fisico rappresenta un potente stimolo per la secrezione dell’ormone della crescita (GH) la cui azione nell’organismo è in parte mediata da altri fattori di crescita chiamati somatomedine, in particolare dalla somatomedina-C nota anche come insulin-like growth factor-1 (IGF-1). Circa l’80% dell’IGF-1 circola nell’organismo complessato con la proteina di legame IGFBP-3.
È noto che i livelli circolanti di IGF-1 ed IGFBP-3 sono influenzati da diversi fattori quali lo stato nutrizionale, l’età, le malattie croniche ed ovviamente dalla secrezione di insulina e di GH.
Diversi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico intenso stimola l’aumento di IGF-1 e di IGFBP-3 e che in caso di sovrallenamento si assiste ad un crollo dei valori circolanti di IGFBP-1. Uno studio condotto su 11 giocatori di rugby ha documentato la presenza di una forte correlazione negativa tra i livelli di IGF-1 e IGFBP-3 e lo stato di sovrallenamento stimato utilizzando un questionario di medicina sportiva. In particolare, è stato registrato un calo (fino al 25%) dei livelli sierici di IGFBP-3 nei soggetti più affaticati rispetto ad un aumento (fino al 40%) nei soggetti in buono stato di forma. I risultati di questo studio propongono che il calo dell’IGFBP-3 indotto da esercizio fisico intenso rappresenti un marcatore di stanchezza negli sportivi allenati.
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