Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è definito dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) come un disturbo caratterizzato nel risperimentare ricordi angoscianti o immagini di un evento traumatico, accompagnato da prolungati cambiamenti negativi nello stato affettivo o nell’umore.
La prevalenza di PTSD varia notevolmente in tutto il mondo. Si osservano grandi differenze da paese a paese e possono essere dovute in parte a differenze culturali, diversi livelli di sviluppo economico e la presenza di guerre o sconvolgimenti politici.
È denominato anche nevrosi da guerra (ma ha anche altre sotto definizioni come: Combat Stress Reaction, Battle Fatigue, Shell shock), proprio perché inizialmente riscontrato in soldati coinvolti in pesanti combattimenti o in situazioni belliche di particolare drammaticità o anche come conseguenza di atti di mobbing.
La risposta che il soggetto può fornire include incubi, flashback e un profondo disagio psichico di fronte a eventi o persone che gli ricordano l’evento traumatico. Negli Stati Uniti, si stima attualmente che il 6,8% degli adulti di età pari o superiore a 18 anni abbia PTSD. Questa patologia è caratterizzata dalla comorbidità di condizioni mediche, come il dolore cronico, disturbo depressivo maggiore e disturbo da uso di sostanze (SUD).
I soggetti in questione hanno circa l’80% in più di probabilità di soddisfare i criteri diagnostici per un altro disturbo mentale rispetto alle popolazioni non patologiche. Lo stress post-traumatico ha anche dimostrato di essere associato ad un aumentato rischio di comportamenti suicidi, compromissione neuro cognitiva, e scarsa aderenza ai comportamenti di salute (ad esempio, praticare esercizio fisico).
Sicuramente la categoria più colpita riguarda il personale militare. Questi individui sono ben noti per avere tassi significativamente più alti e sono a maggior rischio rispetto alla popolazione generale di sviluppare tale patologia. Le forze armate Italiane hanno un grosso problema con questa malattia in quanto secondo le statistiche ufficiali, dal 2003 al 2013 si sono tolti la vita 241 militari Italiani. Pur essendo alto, il numero è nettamente inferiore in confronto a quello degli Stati Uniti, dove nel solo 2012 si sono suicidati 349 membri dell’esercito, più di quelli che nello stesso anno sono morti nei diversi scenari di conflitto in cui operano gli Stati Uniti.
In tali circostanze, il personale militare esposto in teatri di conflitto necessita del supporto medico necessario da parte della propria amministrazione pubblica. Se queste non siano riuscite ad aiutare adeguatamente il personale militare è importante rivolgersi alle associazioni dei veterani. Queste permettono di aiutare gli ex militari in difficoltà ad affrontare problemi di natura psicofisica o economica, per un ritorno alla vita civile.
Nel nostro paese associazioni come “NON DOLET ITALIA” hanno lo scopo di portare avanti campagne di sensibilizzazione e di assistenza agli uomini e le donne in divisa, i quali sono stati esposti a traumi fisici e psichici. Fra i vari progetti di quest’ultima vi è la “Mens sana non dolet” la quale ha lo scopo (fra i vari citati in elenco) di implementare la collaborazione e partnership tra enti sportivi, istruttori specializzati in disabilità a supporto dei veterani con lo scopo di aumentare la visibilità di ogni singolo ente/figura coinvolta. Con l’obiettivo finale di favorire un correlato benessere fisico e mentale della persona.
Uso di sostanza, dolore cronico e ostacoli al trattamento
Nei militari affetti da PTSD si presenta spesso un disturbo da uso di sostanze (substance use disorder o SUD), questo implica la perdita della capacità di controllare l’uso di droghe, farmaci, alcool o tabacco, causando danni alla propria salute. Gli studi attuali ritengono efficace l’attività fisica come terapia per contrastare l’uso di sostanze. Teoricamente si pensa che questo trattamento possa aiutare i soggetti a ridurre l’uso, sostenere l’astinenza e a ridurre le ricadute di SUD. Molti veterani militari con PTSD soffrono anche di dolore cronico. Fortunatamente anche in questo contesto l’AF è nota per avere esiti positivi. Fra questi vi è un effetto analgesico sul dolore. Basti pensare che una recente revisione di 83 studi randomizzati ha rilevato che la terapia fisica è più efficace della cura standard nel ridurre il dolore e la disabilità.
Altre ricerche hanno a lungo sostenuto l’uso dell’esercizio fisico per il dolore acuto, poiché sono state riportate riduzioni della percezione del dolore e un miglior stato emotivo. Nonostante la disponibilità di trattamenti efficaci per il PTSD, molti veterani segnalano terapie con costi eccessivi e in alcuni casi stigma. L’AF rappresenta un’opportunità unica per ridurre le barriere al trattamento perché può essere fatta senza la supervisione di uno specialista della salute mentale, richiedendo una supervisione minima o del tutto assente (poiché svolta autonomamente). Solitamente l’allenamento è qualcosa di familiare ai veterani dati gli standard di idoneità fisica che si trovano comunemente nelle organizzazioni militari.
Tabella riassuntiva dei sintomi sperimentati dai soggetti con PTSD
L’attività fisica può essere aggiunta ai piani terapeutici attuali?
Generalmente per il PTSD viene programmato un trattamento di tipo farmacologico e psicoterapeutico. Nel secondo caso, il NIMH (National Institute of Mental Health) e l’APA (American Psychiatric Association) suggeriscono buoni risultati ottenuti con le terapie del comportamento cognitivo, dove il paziente impara metodi di gestione dell’ansia e della depressione e a modificare comportamenti pericolosi, come quello del negarsi a rielaborare e a vivere le proprie emozioni.
Secondo queste istituzioni, anche le terapie di gruppo e altre forme di psicoterapia hanno dato buoni risultati. Tendenzialmente la durata del trattamento è di 6-12 settimane, anche se può variare fortemente a seconda delle condizioni, con follow-up nei periodi successivi. Da tenere anche in considerazione il ruolo e il coinvolgimento della comunità di appartenenza (comunità dei veterani) e della famiglia. Sicuramente l’esercizio fisico programmato e svolto da uno specialista può essere aggiunto alla terapia psicologica perché può influenzare positivamente molti dei sintomi o le condizioni di comorbidità. La ricerca longitudinale dimostra che circa il 74-80% dei veterani militari con PTSD sperimenta ansia, depressione o entrambi. Inoltre, l’efficacia dell’AF è ben conosciuta come metodo per ridurre ciascuno di questi stati. In particolare, in una recente meta-analisi di studi randomizzati sulla depressione ha dimostrato che l’AF ha un effetto benefico maggiore rispetto alle terapie con antidepressivi.
Programmazione dell’allenamento per includere i veterani con PTSD o altre condizioni di disabilità psico-fisica
È molto importante per i veterani includere la programmazione dell’attività fisica affinché possano avere una corretta e sana transizione alla vita civile dopo il servizio militare. Per stimolarli ad iniziare a praticare AF bisognerà tenere presente le seguenti condizioni:
- I veterani sono un gruppo eterogeneo di individui, con sottogruppi che possono differire tra epoche di servizio (ad esempio Vietnam, Iraq, Afghanistan), età, sesso e tipo di malattia e infortunio (ad esempio psicologico e/o fisico). È importante considerare il gruppo a cui ci si rivolge e quali potrebbero essere le loro esigenze, poiché questi fattori possono influire sul loro comfort in un ambiente o con un tipo di attività particolare. Ad esempio, una palestra rumorosa può essere un luogo non idoneo per un veterano con stress post-traumatico, il quale potrebbe abbandonare il programma senza ulteriore proseguimento. Dunque, è opportuno coinvolgere i diretti interessati, consentendo di strutturare il programma in base alle loro esigenze. Ciò sarà importante e determinante per il percorso che seguiranno.
- La presenza di colleghi in un programma di allenamento è la chiave per una partecipazione attiva dopo la malattia e l’infortunio. I coetanei forniscono un importante senso di appartenenza e sono di conseguenza fonte di socializzazione per i soggetti isolati dalla comunità civile. Questi possono condividere esperienze simili e scambiarsi consigli utili per il ritorno alla vita quotidiana. Ad esempio, molti veterani imparano a conoscere gli Hack-life per la loro malattia o infortunio, così come per i nuovi trattamenti medici a cui sottoporsi.
- Se non c’è una grande comunità militare nella regione in cui si abita, si possono anche integrare civili con malattie e lesioni simili per fornire un ambiente paritario.
- Per altri individui e le loro famiglie può diventare una difficoltà a causa della mancata autonomia psicofisica del veterano. Anche se possiamo trovare un equilibrio, ad esempio realizzando attività specifiche con eventi familiari, programmati durante tutto l’anno. Le opportunità di interazione familiare possono essere più utili quando i membri delle stesse interagiscono fra di loro, condividendo le loro storie, imparando gli uni dagli altri e rendersi conto che non sono soli a vivere queste esperienze.
- L’attività fisica non deve essere ad alta intensità o competitiva per essere efficace. Deve, però, soddisfare gli obiettivi, lo stile di vita e le capacità dell’individuo. A paragone di ciò, alcuni individui possono preferire attività ad alta intensità come gare di corsa o alpinismo, mentre altri possono preferire attività meno intensive in relazione alle loro limitazioni funzionali.
Bibliografia
- Esercizio fisico e disturbo da stress post-traumatico nei veterani militari: una revisione sistematica | | di Medicina Militare Accademico di Oxford (oup.com)
- Disturbo da stress post-traumatico: revisione del programma completo di fitness del soldato – ScienceDirect