QUALCOSA DI NUOVO NELL’ACQUA?
Nel corso degli anni, l’attenzione nei confronti dell’idratazione per lo sportivo si è fatta più vivida, grazie anche al fervido mercato degli “sport drink”. Di conseguenza, diversi organismi internazionali hanno riunito commissioni al fine di discutere e quindi promuovere appropriate linee guida al riguardo.
Le più recenti appartengono alle position stands promosse dalla National Athletic Trainers’ Association (NATA) (Casa et al. 2000) e dal prestigioso American College of Sports Medicine (ACSM) (Sawka et al. 2007). Queste linee guida, pubblicate nel 2000 e nel 2007 rispettivamente, sono state poi riprese anche da altri organismi, come l’American Dietetic Association (ADA), la Dieticians of Canada, e da un gran numero di istituti sportivi internazionali.
Seppure siano passati 10 anni o più da quelle pubblicazioni, attualmente vengono ritenute le più accreditate, ed i suggerimenti di seguito riportati prendono spunto proprio dalla pubblicazione più recente, ovvero nel 2009, che riassume le indicazioni fornite da NATA e ACSM (Rodriguez et al. 2009).
Numerosi sono gli articoli che identificano la disidratazione come causa di effetti negativi sulla performance fisica (aerobica) e sulla capacità cognitiva, specialmente in ambienti caldi e quando associata ad elevate temperature cutanee. Affinché la performance possa risultare alterata, la soglia di liquidi persi e non compensati è stata definita essere superiore al 2% della massa corporea iniziale. Ciò significa una perdita di fluidi superiore a 1.4 kg nel caso di un atleta dalla massa di 70 kg.
Quando questa soglia viene superata, le principali variazioni fisiologiche osservabili sono:
- un aumento della temperatura centrale,
- un aumento della frequenza cardiaca a causa di un ridotto volume ematico circolante,
- un aumentato consumo di glicogeno,
- ed alterate funzioni metaboliche e nervose (Sawka et al. 2007).
Dal punto di vista pratico, diversi autori hanno osservato che perdite di fluidi > 2% della massa corporea comportano anche un peggioramento della capacità aerobica, come un ridotto tempo di esaurimento ad esercizio con intensità costante (exhaustion time), oppure una ridotta capacità di esercizio fisico ad esempio durante i Time Trials. In merito alla performance anerobica, attualmente non vi sono abbastanza dati a supporto di una riduzione della potenza e della forza muscolare a causa della disidratazione. Tuttavia i risultati di un recente lavoro del nostro gruppo (Zubac et al., under review) indicano che la disidratazione potrebbe alterare le capacità contrattili muscolari e favorire l’affaticamento.
Da questi risultati si evince che mantenere un buon bilancio idrico prima, durante e dopo una competizione può essere favorevole non soltanto alla salute in generale dell’individuo, ma anche alla prestazione sportiva stessa.
Prima dell’esercizio fisico:
Almeno 4 h prima dell’attività, gli atleti dovrebbero bere da 5 a 7 mL di acqua o bevanda per lo sport, per kg di massa corporea. Per un atleta di 70 kg, quindi, ciò risulterebbe in un’assunzione di ca 420 mL di fluidi. Questo protocollo permetterebbe all’organismo di assorbire la totalità del liquido e di equilibrare i diversi compartimenti idrici dell’organismo. L’iperidratazione è fortemente sconsigliata dal momento che potrebbe non solo portare a squilibri elettrolitici, ma potrebbe anche stimolare il bisogno di svuotare la vescica durante la performance, creando una condizione scomfortevole per l’atleta. E’ da notare che in un’indagine recente è stato osservato come la maggior parte degli atleti di diversi sport comincino l’allenamento già in condizioni di ipoidratazione (USG > 1.020) (Arnaoutis et al. 2015).
Durante l’esercizio fisico:
La maggior parte dei fluidi persi durante l’attività fisica deriva dalla sudorazione, processo termoregolatorio fondamentale per il mantenimento della temperatura corporea. Tuttavia, il tasso di sudorazione è estremamente variabile a causa di numerosi fattori quali: variabilità interpersonale, età, sesso, acclimatazione, livello di fitness aerobico, condizioni ambientali, intensità dell’esercizio, e vestiario/equipaggiamento indossato. In media, è possibile osservare tassi di sudorazione che variano da 0.3 fino a 2.4 L ogni ora di esercizio, e per quanto esistano tabelle specifiche per diversi sport e temperature, le stime risultano spesso grossolane quando applicate individualmente.
Pertanto si consiglia di valutare individualmente la quantità di sudore perso durante la performance/allenamento, simulando le condizioni in cui verranno svolte le competizioni.
Il protocollo per la stima del tasso di sudorazione è piuttosto semplice, in quanto consiste nel misurare la variazione di peso tra prima e dopo l’esercizio, avendo cura di tener conto degli eventuali fluidi consumati con le bevande, oppure persi attraverso le urine/feci (in casi estremi, ovviamente). E’ comunemente accettata l’equivalenza 1 L di acqua = 1 kg di massa corporea persa.
Un esempio pratico di protocollo per la valutazione della sudorazione: il nostro atleta di 70 kg vuole sapere quant’è il suo tasso di sudorazione durante una corsa di 1 ora a velocità costante e in condizioni ambientali specifiche (ad esempio 30 °C, 40% di umidità relativa, 2 m/s di vento). Va considerato, infatti, che le condizioni ambientali ed il vento possono influenzare sensibilmente sia la sudorazione totale, che “l’efficienza” della sudorazione. L’atleta quindi giunge al campo di allenamento e dopo essersi spogliato (minori i vestiti indossati, migliore la misura) e aver svuotato la vescica, sale sulla bilancia e misuriamo una massa di 70.2 kg. Quindi procede con l’attività fisica, correndo a 12 km/h per 1h e consumando durante la corsa 0.5 L di acqua.
Terminata l’attività, l’atleta torna a pesarsi dopo essersi spogliato e asciugato (attenzione ad eventuali indumenti “zuppi”, in particolar modo l’intimo, e a togliere eventuale sudore dalla pelle). La massa risulta essere 60.1 kg, con una perdita totale di 1.1 kg. Tuttavia, avendo bevuto 0.5 L di acqua, che hanno “aumentato” la massa del soggetto di 0.5 kg durante lo sforzo, la perdita totale di sudore è pari 1.1 + 0.5 kg = 1.6 kg. Di conseguenza, il tasso di sudorazione di questo atleta durante una corsa a 12 km/h, 30 °C e 40% RH, 2 m/s di vento, può essere stimato in 1.6 L/h.
Dal momento che è noto il tasso di sudorazione dell’atleta durante la specifica condizione, i suggerimenti proposti nelle position stand di NATA e ACSM consigliano di evitare una perdita di fluidi superiore al 2% della massa corporea. Utilizzando ancora una volta il nostro atleta di 70 kg dell’esempio precedente, sappiamo che la sua perdita di sudore consiste in 1.6 L ogni ora di corsa, e la durata totale della sua performance, ad esempio, è di 2 ore. Nel suo caso, se non dovesse consumare liquidi durante l’attività, dopo 1 ora di corsa avrebbe perso ca il 2.3% della massa corporea, e il 4.6% dopo le due ore. Con qualche semplice calcolo è possibile quindi consigliare al nostro atleta di consumare durante l’intera corsa una quantità non inferiore a 1.8 L di acqua, circa 0.2 L ogni 15 min di corsa.
Come vedrete, queste nostre speculazioni non vanno molto lontane dalla realtà, dal momento che qualora non vi siano protocolli individualizzati come nel nostro esempio, le linee guida consigliano proprio un consumo di liquidi che varia da 0.2 a 0.25 L ogni 15-20 min di esercizio, o da 0.4 a 0.8 L ogni ora di corsa. La teoria, ancora una volta, incontra la pratica.
Dopo l’esercizio fisico:
Qualora l’attività sia stata particolarmente intensa e stressante dal punto di vista termoregolatorio e/o idratativo, le linee guida consigliano di consumare una quantità di fluidi pari a 0.9-1.3 L per ogni kg di peso corporeo perso (e non compensato durante lo sforzo), nelle ore successive lo sforzo (il prima possibile, per favorire un ritorno rapido dell’omeostasi elettrolitica e delle risposte ormonali).
Protocollo standardizzato, o consumo “ad libitum”?
Dai risultati finora analizzati, sembra che un protocollo di idratazione individualizzato per l’atleta, con il fine di prevenire una perdita di fluidi superiore al 2% della massa corporea, sia necessario per mantenere la performance aerobica ottimale. Allo stesso tempo, gli autori suggeriscono che il cosiddetto consumo “ad libitum”, ovvero bere quando si vuole e quanto si vuole – spesso legato allo stimolo della sete – non sia sufficiente a prevenire questa perdita di fluidi. Da questo punto nasce un dibattito, ancora acceso, tra la scuola di pensiero prevalentemente statunitense che trova tra i suoi maggiori sostenitori il prof. Michael Sawka, e quella opposta che trova il suo leader nel prof. Tim Noakes (Sawka and Noakes 2007). Entrambi gli autori portano a loro difesa numerosi studi scientifici, il primo a supporto della teoria del protocollo individualizzato, mentre il secondo suggerisce che l’ idratazione “ad libitum” sia adeguata e consigliata. Entrambi gli autori rappresentano un’esperienza scientifica invidiabile, e per anni la teoria prevalente è risultata essere quella statunitense.
Tuttavia, una recente review dalla Nuova Zelanda (Cotter et al. 2014) ed un recente lavoro dal Canada (Cheung et al. 2015), sembrano sostenere l’efficacia di una strategia “ad libitum”, indicando come alcuni fattori che avrebbero potuto influenzare i risultati degli studi precedenti. Ad esempio, l’assenza di una condizione di “doppio cieco” nei protocolli sperimentali e l’assenza di vento “artificiale”.
Di fatto, è lecito supporre che un soggetto riduca naturalmente l’intensità o la capacità di esercizio fisico qualora sappia che nelle 2 ore successive dovrà correre in un ambiente caldo senza la possibilità di reidratarsi qualora ne avesse davvero voglia.
Conclusioni:
Il recente studio canadese ha effettivamente riacceso il dibattito su quale sia la migliore strategie di idratazione per lo sportivo, fornendo ai ricercatori un protocollo attento ad eliminare possibili fattori confondenti; tuttavia altri studi ben controllati sono necessari per definire gli effetti della disidratazione sulla performance aerobica, differenziando accuratamente la sua componente fisiologica da quella psicologica. I consigli generali delle position stand citate precedentemente, per quanto ormai datate e senza commenti ai risultati più recenti, non sembrano essere dannose per la salute o la performance atletica, specialmente qualora il protocollo sia individualizzato. Allo stesso tempo, seguire un’ idratazione “ad libitum” sembra essere sufficiente, ma è compito di un bravo allenatore riconoscere se le condizioni e gli atleti hanno effettivamente la possibilità di reidratarsi seguendo lo stimolo delle sete (competizioni particolari, condizioni climatiche, fasce d’età, etc.), e quindi approcciarsi con il protocollo più adeguato.
Il consiglio ultimo, quindi, è quello di assicurarsi che gli atleti abbiano la possibilità di idratarsi qualora ne abbiano bisogno, consigliare affinché inizino l’allenamento e la performance ben idratati, e conoscere il loro tasso di sudorazione per monitorare al meglio le loro strategie di idratazione.
Key Points:
- Le linee guida internazionali principalmente si riferiscono alle position stand della NATA (2000) e dell’ACSM (2007);
- Una perdita di fluidi superiore al 2% della massa corporea potrebbe provocare un peggioramento della performance aerobica e cognitiva;
- Siccome il tasso di sudorazione è estremamente variabile, si consiglia di conoscere la sudorazione di ogni singolo atleta in base alle condizioni ambientali e di esercizio fisico specifiche. Tale stima può essere effettuata misurando la variazione di massa corporea prima-dopo l’esercizio, tenendo in considerazione gli eventuali liquidi introdotti;
- Qualora non si conosca il tasso di sudorazione dell’atleta, le linee guida consigliano un consumo di ca 200 mL di acqua/bevanda per lo sport ogni 20 min (0.4-0.8 L/h);
- Il tipo di bevanda può essere della comune acqua, oppure bevande specifiche per lo sport con dosi moderate di carboidrati, sodio e potassio;
- Si sconsiglia un’ idratazione eccessiva poiché potrebbe provocare danni alla salute (e.g., iponatremia), o provocare discomfort a causa dello stimolo di svuotare la vescica;
- I risultati più recenti suggeriscono che l’ idratazione “ad libitum”, ovvero bevendo quanto si vuole e quando si vuole, potrebbe essere sufficiente qualora le condizioni permettano un’accessibilità adeguata ai fluidi.
Bibliografia:
Arnaoutis, G., Kavouras, S.A., Angelopoulou, A., Skoulariki, C., Bismpikou, S., Mourtakos, S., and Sidossis, L.S. 2015. Fluid Balance During Training in Elite Young Athletes of Different Sports. J Strength Cond Res 29(12): 3447–3452.
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Cheung, S.S., McGarr, G.W., Mallette, M.M., Wallace, P.J., Watson, C.L., Kim, I.M., and Greenway, M.J. 2015. Separate and combined effects of dehydration and thirst sensation on exercise performance in the heat. Scand J Med Sci Sport. 25 Suppl 1: 104–111.
Cotter, J.D., Thornton, S.N., Lee, J.K., and Laursen, P.B. 2014. Are we being drowned in hydration advice? Thirsty for more? Extrem Physiol Med 3: 18.
Rodriguez, N.R., DiMarco, N.M., and Langley, S. 2009. Position of the American Dietetic Association, Dietitians of Canada, and the American College of Sports Medicine: Nutrition and athletic performance. J Am Diet Assoc 109(3): 509–527.
Sawka, M.N., Burke, L.M., Eichner, E.R., Maughan, R.J., Montain, S.J., and Stachenfeld, N.S. 2007. American College of Sports Medicine position stand. Exercise and fluid replacement. Med Sci Sport. Exerc 39(2): 377–390.
Sawka, M.N., and Noakes, T.D. 2007. Does dehydration impair exercise performance? Med Sci Sport. Exerc 39(8): 1209–1217.