Il basket è stato definito “atletica giocata”, si caratterizza per spostamenti brevi e frequenti in tutte le direzioni ad alta velocità, richiedendo forza esplosiva sia negli arti inferiori sia in quelli superiori, in opposizione ad uno o più avversari.
La letteratura e gli studi specifici ci indicano in modo molto chiaro un approccio multifattoriale programmato per cercare di ridurre e limitare il numero di infortuni.
Tasso di infortuni nella pallacanestro
Già dall’interpretazione della definizione di infortunio, si nota che i dati in letteratura sono molto diversi e confusionari: alcuni studi, infatti, indicano come infortunio “ogni evento che ha ricevuto attenzione medica”, mentre altri danno all’infortunio il significato di “allenamenti persi o non compiuti a seguito dell’infortunio”.
Studi condotti nei college USA e canadesi riportano che in partita si hanno più probabilità di infortunio rispetto che in allenamento con dei tassi che variano dal 4.94 al 9.9 per 1000 atleti esposti nelle competizioni NCAA (Dick et al., 2007a, Meeuwisse et al., 2003).
I tassi di infortuni rimangono comunque bassi nel basket rispetto ad altri sport, anche se sono influenzati dai protocolli di ricerca ed il tipo di competizione che viene analizzata. La NBA è la lega dove il tasso di infortunio è più alto (19-25 per 1000 atleti esposti).
Localizzazione e tipologia degli infortuni
La maggior parte degli infortuni avviene duranti i gesti tecnici come rimbalzi, cambi di senso e di direzione che uniscono accelerazioni e decelerazioni oppure nelle ricadute da salti. (Pfeifer, 2001). Dal 46.4% al 68.0% degli infortuni avvengono agli arti inferiori, mentre “solo” dal 5.6% al 23.2% coinvolge gli arti superiori. Per la colonna le percentuali variano tra il 6.0% e il 14.9%, e dal 5.8% al 23.7% per quanto riguarda colpi diretti a viso e collo (McKay, 2010). Gli infortuni acuti nei college sono il 37.1% mentre nei professionisti è inferiore, circa il 27,8% e spesso si tratta di contusioni e lesioni muscolari (Oblakovic-Babic, 2005; Starkey, 2000).
In ordine di frequenza di lesione, al primo posto è possibile trovare le distorsioni all’articolazione tibio-tarsica, inseguite a poca distanza dalle lesioni capsulo-legamentose del ginocchio.
Distorsioni di caviglia
Le distorsioni di caviglia avvengono per il 90% in inversione con interessamento nell’80% dei casi del legamento peroneo astragalico anteriore (McKay et al., 2001). DuRant et al., già nel 1992 affermano che 2 giocatori su 3 che hanno avuto una distorsione, avevano già una situazione pregressa, ed in un caso su due, gli atleti testimoniano di avere sintomi residui da 6 a 18 mesi dopo l’evento.
Il meccanismo di atterraggio dopo un salto od un tiro è uno dei più frequenti in cui si hanno infortuni visto che il peso sopportato dalle articolazioni del ginocchio e della caviglia è di circa 9 volte quello corporeo (Cavenagh et al., 1990). Il giocatore di basket è soggetto anche ad infortuni da overuse: gesti tecnici ripetuti in modo ciclico, ad elevata intensità esercitano microtraumi meccanici sulle strutture interessate, andando a creare un sovraccarico funzionale.
L’infortunio da overuse rappresenta dal 12.8% al 37.7% di tutti gli infortuni, specialmente all’apparato locomotore e più frequentemente i tendini del ginocchio (jumper’s knee, 48.8%) ed il tendine d’Achille (McKay et al., 2010). Il 60% di giovani atleti tra 18 e 22 anni manifesta sindromi da overuse. Mentre dopo i 33 anni la percentuale cala al 40% (Pfeirfer et al., 2001).
Jumper’s knee
Il jumper’s knee (o ginocchio del saltatore) rappresenta una situazione complessa in cui sono sicuramente presenti deficit di forza delle catene cinetiche e biomeccanici, contratture, rigidità muscolare, fino allo squilibrio tra muscoli agonisti ed antagonisti. Non a caso il ristabilimento dell’equilibrio tra muscoli flessori ed estensori rappresenta il primo presupposto per poter tornare a giocare (D’Onofrio et al., 2001).
Analizzare i fattori estrinseci (carichi di lavoro, riscaldamento, recupero) ed intrinseci uniti alla programmazione e periodizzazione degli allenamenti insieme a programmi di prevenzione specifici rappresentano un’ottima salvaguardia dalle tendinopatie.
Il low back pain (dolore lombare, mal di schiena) è la terza causa di infortunio, spesso cronica e recidivante, sia in atleti professionisti che in atleti amatoriali e giovani (Nadler et al., 2000); particolarmente a rischio le atlete professioniste, che sembrano manifestare il doppio degli infortuni alla schiena rispetto ai colleghi maschi (studio su giocatrici NCAA, Nadler et al., 2002).
Tempo di assenza dall’attività sportiva
Diversi autori hanno analizzato i tempi di assenza dall’attività; circa 1 infortunio su 4 comporta l’allontanamento da 7 a 10 giorni dalle attività (Agel et al., 2007; McKay et al. 2001b). Solo il 3.7% di infortuni necessita la risoluzione chirurgica e proprio in questi casi si registra il maggior numero di allenamenti persi nella stagione (circa il 28%) (Starkey, 2000).
Gli infortuni che causano il maggior allontanamento sono quelli a carico di caviglia e ginocchio (da 1 a 3 settimane, se gravi anche più di un mese) (McGuine et al., 2006). Anche gli infortuni al polpaccio comportano tempi molto lunghi (McKay et al., 2001b).
McKay et al. (2001b) afferma che gli infortuni muscolari al polpaccio sono secondi solo dietro alle distorsioni di caviglia (e ginocchio) come gravità.
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